Siamo stati tutti travolti da un’onda anomala, da uno tsunami sanitario, senza precedenti, almeno per quanto riguarda la nostra generazione!
Ci siamo trovati, come tanti di voi, a veder slittare le fiere e gli eventi per cui stavamo lavorando. Abbiamo continuato a lavorare, per certi versi, con alcuni risvolti positivi: meno traffico negli spostamenti e meno impegni da conciliare tra famiglia e lavoro. Nel primo step di riorganizzazione ci siamo procurati i gel igienizzanti per le mani, siamo stati a debite distanze e non abbiamo più avuto scambi di visite con clienti e fornitori! Ascoltavamo i commenti sui media, facevamo, anche noi, i nostri bei commenti, ancora ignari di come si sarebbe evoluta la situazione.
Poi è arrivato il momento di decidere. Così ci siamo attrezzati per lavorare tutti quanti da casa: backup dei lavori in corso per avere accesso immediato, connessione VPN predisposta su tutti i device per attingere i dati in remoto e un abbozzo di “to do list” approssimativa per suddividerci i “compiti a casa”.
A oggi, è più di un mese che siamo in home office. Ci siamo confrontati su che esperienza stiamo facendo e abbiamo pensato di condividere il nuovo modo di lavorare messo in atto a partire da quell’11 Marzo. Ve lo raccontiamo così, con un “c’era una volta…”
C’era una volta un grande open space…
in cui squillava spesso il telefono, tutti parlavano ad alta voce e i corrieri entravano e uscivano. Si entrava al mattino con quattro idee in testa, nel pomeriggio si erano già triplicate e verso sera completamente esaurite. A metà mattina si faceva sempre un rituale, chiamato “Coffee-break” , un bel modo per staccare gli occhi dal computer e scambiarsi quattro chiacchiere. In questo grande open space si poteva anche fare “Lunch-office” ma molti preferivano sfidarsi nel “record” pranzo a casa e rientro. Si sarebbe anche potuto fare qualche esercizio fisico, in questo open space, ma con la bella stagione meglio fare quattro passi all’aperto sulla vicina ciclabile.
Adesso che tutto questo non c’è più
C’è chi si deve chiudere in una stanza, e sforzarsi a “non aprire quella porta” aldilà della quale succede di tutto. Per il caffè gli bussa la moglie cauta e attenta a non rovinargli la concentrazione mentre, per lo scambio con i colleghi, rischia la dissociazione mentale quando contemporaneamente risponde alle mail, visualizza WhatsApp e chatta su Skype durante una videochiamata.
C’è invece chi era già uno spirito “smart” nel lavoro come nelle scelte della vita. Talmente smart che, pur con il lavoro a rilento, si tiene in esercizio per aggiornamento e formazione personale. Solo a livello di energie, lo smart working non gli è congeniale. Spostarsi, cambiare aria, cambiare prospettiva, vedere gli altri continuano ad essere il suo carica-batterie insostituibile.
C’è anche chi ha trovato nell’isolamento la sua dimensione ideale con un tempo più riflessivo. La giornata lavorativa, che si dilata ben oltre le 8 ore, gli permette di lavorare ininterrottamente, di fruttargli una produttività sconosciuta, immerso in uno stato di nirvana in cui non sente nemmeno lo stomaco reclamare!
Insomma c’è di tutto un po’. Chi ha riscoperto la propria casa, il giardino, i figli e persino i lavori domestici, il tutto fluidamente mescolato alla posta elettronica, alla stesura dei preventivi, alla gestione clienti.
L’esperienza più incredibile resta quella di chi ha ammesso: sono passato dal sentirmi come “L’urlo”di Munch, per il terrore del virus-mostro, a lavorare da casa con la determinazione del guerriero che combatte per vincere la paura. Infatti tutte le mattine dal suo bunker fortificato si occupa di logistica, ci fa da stratega e ci dà pure la sveglia con l’alzabandiera all’inizio dell’orario di servizio.
Come prima? O meglio di prima?
Alla fine, siamo tutti d’accordo che non sono le mansioni ad essere cambiate ma il nostro modo di affrontarle.
E, per quanto fortunati a poterle svolgere in smart working, non siamo esenti da preoccupazioni e pensieri per ciò che è accaduto, sta accadendo e accadrà. Si può stare seduti in riva al fiume ad aspettare che l’onda passi oppure attrezzarsi per raggiungere l’altra sponda e riprendere il percorso. Ma tornerà tutto “come prima”? Forse saremo più saggi, più riflessivi, più veri, più tenaci.
Allora sarà anche meglio di prima!